Santa Muerte
Romanzo storico ambientato nella seconda metà del 1800, che ricostruisce la vicenda di Massimiliano d’Asburgo e Carlotta del Belgio, gli ultimi imperatori del Messico, ignari di essere al centro delle sfrenate mire espansionistiche e delle ambizioni di illustri personaggi senza scrupoli. Il romanzo traccia un ritratto delle corti europee dell’epoca, in particolare quelle viennesi, francesi e messicane. Ricco di colpi di scena e di descrizioni dell’antico culto azteco del serpente piumato, non trascura romanticismo, passione e nobili sentimenti come l’amore e l’amicizia incondizionati.
«Seňores y seňoritas, ho un annuncio. Mi dichiaro ufficialmente soddisfatta della nostra missione diplomatica nello Yucatan!»,
dichiarò una Carlotta dei momenti migliori.
Alzò il calice rivolgendosi con vivacità alle dame e ai soldati; questi sorrisero tra loro, facendo correre del buon vino, e una vena di buonumore riscaldò gli animi.
Gli ostacoli e i problemi che assalivano l’impero parevano lontani.
Città del Messico era in incubo grigio attanagliato dal freddo e dall’abbandono.
Già dentro le mura della capitale l’odore nauseabondo del tradimento francese infestava le vie, e si infiltrava nelle fessure del Palazzo Reale.
Lontana sembrava anche la bizzarra, soffocante reggia di Chapultepec, un tentativo di scimmiottamento di Miramar, dove i sudditi si aggiravano smarriti e confusi, con l’anima nuda dell’esiliato, e le lettere dei propri cari ficcate nelle tasche.
Soprattutto, e Carlotta dovette trarne le debite conclusioni, quelle che giustificarono le sue decisioni future, lontana era La Borda di Cuernavaca, dove tutte le belle niňe della servitù avevano gli occhi di Conception, e dove gli indios la guardavano in quel modo indisponente, servile e ironico, prima lei e poi il piccolo Iturbide, strappato alla madre e adottato da Max.
Caproni messicani!
Li aveva in odio!
Servili, falsi e ipocriti.
Non vedeva l’ora di liberarsene la vista.
Si trattava di compiere l’ultimo sforzo, in verità assai piacevole, l’iniziativa più fruttifera da quando aveva messo piede nel Nuovo Mondo.
Dopodiché, se ne sarebbe andata?
Al momento, non voleva pensarci.
Il Colonnello Van Der Smissen commentò la situazione con un ufficiale seduto al suo fianco, bevendo il vino dell’allegra tavolata.
«L’ho sempre detto, le cose funzionerebbero se l’imperatore affidasse l’intera reggenza alla moglie».
L’altro annuì, e Alfred guardò Carlotta, mentre chiacchierava con le sue giovani dame, e tutte assieme formavano un trio davvero piacevole a vedersi.
Carlotta sentì su di sé lo sguardo del Colonnello, e tralasciando la consueta avvedutezza arrossì, e sorrise a Paloma.
Costei, un po’ brilla, alzò il calice:
«Alla vita».
Carlotta slacciò il primo bottoncino dell’abito grigio perla per respirare.
«Sì, mia cara. Alla meravigliosa vita».
Manuelita Barrio raccolse con sorrisi composti i lazzi complimentosi dell’ufficiale messicano del seguito.
Il Prefetto avvicinò il loro gruppo.
«Vostra Altezza Imperiale voglia perdonarmi. Un drappello di soldati dell’esercito messicano giunse ora a onorare la mia dimora.
Colonnello, domando a voi di riceverli insieme con me e la mia señora.
Vogliate accomodarvi da questa parte, prego».
I due uomini si allontanarono.
Carlotta ne fu impensierita.
«Non si capisce questa irruzione da parte dei soldati di Lopez. Spero nulla di grave».
Un ufficiale francese seduto poco distante la tranquillizzò.
«Vostra Altezza Imperiale non ha motivo di preoccuparsi. Si tratterà di un drappello a zonzo per la Sierra Madre, che si è divertito a spingersi sin qua, forse per rendervi omaggio».
Un soldato messicano seduto a un altro tavolo si lasciò andare all’ironia:
«Verdad. Il solito drappello smarrito di Bazaine!»,
disse, col risultato di vedere la sovrana aggrondarsi.
«Spiegatevi, tenente».
L’ufficiale francese si alzò in piedi, impacciato.
«Il tenente intendeva dire che talvolta, il Maresciallo Bazaine. concede a uno dei drappelli una…una licenza premio».
«Licenza premio? Per azioni particolarmente meritevoli, debbo supporre, tenente? Immagino che, in un esercito, il Maresciallo decida di concedere una licenza speciale ai soldati quando si siano distinti in un’azione valorosa».
«Proprio così».
«Molto bene», rispose l’imperatrice.
Van Der Smissen ritornò nella sala.
«Permettete che un drappello della divisione messicana del Colonnello Lopez, divida con voi l’ospitalità del nostro squisito Prefetto?».
Carlotta acconsentì con un gesto del capo.
Van der Smissen invitò alla tavola Lopez e gli altri, un gruppo allegrotto di sei soldati, tra cui Alejandro Ortega.
Lopez fu piacevolmente sorpreso di ritrovare la contessa de Vallory, e dopo essersi cavato il cappello e inchinato davanti all’imperatrice, afferrò con disinvoltura una seggiola e prese posto accanto a una terrea Paloma.
«Rivedervi è un piacere sopraffino, non proprio inaspettato. A dirla franca, ero curioso di sapere i nomi delle Gran dame con cui viaggiava l’imperatrice: e, non si sa come, avevo il presentimento di trovarvi».
La studiò con uno sguardo socchiuso e altero, anche per via del mento sollevato e arrogante, diviso nel centro.
«La vostra audacia rischia di giocarvi un brutto tiro, sono ancora una donna sposata».
«Voi state tremando. É per via di quel sergente biondino seduto laggiù? Quello che sta guardando verso di noi e vi somiglia come una goccia d’acqua?».
«Lo sapete!».
«Non ve ne date pensiero, Palomita. Sono un uomo di mondo, non presto attenzione alle tresche tra i miei soldati e le dame di corte».
«Da come parlate si direbbe ve ne siano molte, e ne siate bene informato».
Il suo volto mandava lampi di sfida verso Lopez, e i suoi occhi fiammeggiavano ricambiando quelli di Alejandro, che continuava a bere, seduto in fondo alla tavola.
Il Colonnello mutò atteggiamento.
«Quando ne avrete abbastanza di giacere con attempati vigliacchi o imprudenti lattanti, fatemelo sapere».
«Voi pure, señor, fatemi sapere quando e come avrete portato a compimento il miracolo della vostra educazione! Con permesso».
Con lo stomaco in subbuglio, si scusò con l’imperatrice, abbandonò la cena e si ritirò nella stanza dell’hacienda, al piano superiore.
Tremando per l’agitazione, si concesse un goccio di tequila.
“La vista di Alejandro mi scuote fino alla radice di ogni sentimento, di ogni volontà; ben altro che un viscido Lopez, per turbarmi, casomai! Eccolo qui, il mio demone personale, l’ombra che devo affrontare e uccidere, per andare avanti”.
Bussarono alla porta.
«Viene adentro, Alejandro».
Lui entrò, si appoggiò alla porta dopo averla richiusa.
Loredana Zino, in arte Contessa Scalza
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