La novella del sindacalista scalzo – Ultimo capitolo (9°)

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Epilogo

I nostri operai appena usciti dall’incontro col sindaco raggiunsero i colleghi e le compagne di lavoro.

Raccontarono loro l’accaduto e persino i più ottimisti si convinsero:

bisognava tornare nelle strade e nelle piazze,

perché nessuno avrebbe difeso le loro posizioni

a parte loro stessi.

Coi loro corpi e le loro voci.

Soltanto i lavoratori, auto-organizzandosi, avrebbero potuto scalfire il muro di gomma che li circondava e li opprimeva.

Casa per casa, strada per strada, era necessario provare a coinvolgere tutti gli strati popolari: perché se oggi toccava ai minatori, domani sarebbe potuto succedere a qualunque altra categoria di lavoratori e lavoratrici di ritrovarsi con un netto peggioramento delle proprie condizioni di vita.

E fu così che si organizzò una grande mobilitazione popolare.

Ai ragazzini furono consegnati grossi rotoli di volantini da distribuire in giro per la città.

Alle tessitrici fu chiesto di preparare striscioni e stendardi.

Fu organizzato un comitato per la sicurezza, che si occupava sia di tenere monitorata l’organizzazione del lavoro in miniera, sia di predisporre tutti quegli accorgimenti e dispositivi che durante la giornata di manifestazione avrebbero tutelato quella meravigliosa espressione di iniziativa popolare da infiltrazioni pericolose.

Fu scelta una piazza e predisposto un palco dal quale potessero intervenire, in rappresentanza delle categorie e dei gruppi coinvolti, diversi relatori, primo fra tutti il nostro sindacalista. Il suo sguardo era cambiato, una fermezza gentile si era impossessata del suo cuore e dei suoi occhi.

Quando l’amore ti sorprende e ti avvolge, ti protegge e ti consola,

tutto ti sembra semplice, affrontabile e superabile.

Questa è la grande forza dell’amore.

E si può amare una donna ed essere amati a propria volta.

Ma il nostro sindacalista sapeva bene (ed ora lo sappiamo anche noi) che si può amare anche una causa e condividerla con altre ed altri che l’amano a loro volta.

E questo grande amore collettivo, persino nelle più terribili difficoltà, ti darà la forza per andare avanti.

Solo così le cose possono cambiare:

amore e caparbietà.

Venne il giorno e tutti noi ci unimmo a loro.

A chi fino a quel momento, per settimane e mesi, si era sporcato le mani in nome di ciò che è giusto, per loro stessi ma anche per tutti coloro che per vivere devono lavorare.

Noi inizialmente non lo avevamo capito, ma ormai era chiaro.

Con questo non vi dico che proprio tutti si unirono alla battaglia: molti miei colleghi non ne vollero nemmeno sentir parlare, senza dimenticare ovviamente i piccoli e grandi imprenditori del territorio.

Eppure, dalle province vicine cominciarono a giungere pullman e cortei.

La voce si era sparsa a tal punto che su alcuni giornali di tiratura regionale e nazionale qualche giornalista aveva dedicato un articolo di fondo, un trafiletto. Fu lì che scoprimmo che il nostro sindacalista in realtà era più conosciuto di quanto pensassimo. Il suo peregrinare da nord a sud lo aveva reso celebre nei luoghi più disparati. Aveva davvero dedicato una vita alla causa della giustizia sociale, non mentiva. Questo ci riempì il cuore e dette a tutti noi un’ulteriore spinta, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Il corteo partì, in testa un lungo striscione con scritto a lettere cubitali:

GIUSTIZIA PER CHI LAVORA.

In prima fila il nostro sindacalista, la sua compagna (che aveva deciso, in maniera un po’ imprudente, di sfidare le autorità giudiziarie), gli operai e le operaie con decine di bandiere al vento.

E poi tanta gente, giovani e vecchi, borghesi e provincialotti, contadine, pastori, massaie, negozianti, professori e studenti.

Un serpentone che attraversò la città raccoglieva applausi e fiori lanciati dalle finestre, ma anche sguardi torvi, fischi, insulti da chi legittimamente non condivideva quella parata.

D’altronde, nessuno si aspettava di incontrare unanimità tra i cittadini, altrimenti non si sarebbe reso necessario fare tutto quanto stavano portando avanti.

La miniera, ovviamente, per quelle ventiquattro ore aveva i lucchetti agli accessi e rimase chiusa.

La direzione non sembrava particolarmente sconvolta da quanto stava accadendo, nonostante fossero rimasti abbastanza colpiti dal resoconto che il sindaco fece loro sul suo confronto con le rappresentanze operaie.

Stavano per attuare il loro piano, tutto stava più o meno andando come si aspettavano.

Avevano utilizzato l’amministrazione per istigare e riattizzare la rabbia dei lavoratori, così che fossero loro stessi a preparare il palcoscenico per il loro debutto.

Mentre il corteo giungeva a destinazione, infrangendosi contro il palco dal quale presto ci sarebbero stati degli interventi, il direttore della miniera, il suo assistente e una decina di loro sgherri si sparsero tra la folla, camuffati e irriconoscibili.

Al sindaco avevano chiesto di chiedere la parola dal palco e di fare un discorso concordato nei minimi dettagli.

Di certo nessuno avrebbe negato ad un’istituzione in veste ufficiale quello spazio, se fosse stato loro richiesto, gli operai sarebbero stati fin troppo corretti da questo punto di vista.

Il primo a prendere la parola fu uno dei compagni di reparto del lavoratore morto durante il turno: egli raccontò nei minimi particolari l’accaduto, dimostrando come fosse evidentemente una sottovalutazione dei responsabili e della dirigenza la reale causa di quella tragedia. Il suo intervento si concluse con un potente scroscio di applausi.

Poi intervenne una rappresentanza delle donne operaie, che avevano espressamente chiesto uno spazio a loro dedicato. Raccontarono di come molte di loro fossero costrette ad un doppio lavoro, in miniera e nella cura familiare, di come questo fosse massacrante. Chiedevano più tempo per loro, più spazio di libertà, più diritti e maggiore riconoscimento di questo doppio ruolo, sia in fabbrica che in casa. Inoltre, ricordarono come moltissime donne ancora non avessero mai potuto lavorare per guadagnarsi da vivere ed essere indipendenti, questo era un problema sociale che tutti dovevano porsi, poiché peggiorava la qualità della vita della comunità.

Altro scroscio di applausi.

Poi venne il nostro sindacalista e non ebbe il tempo di cominciare che la piazza si sollevò in un boato. Lui era visibilmente commosso, la sua compagna lo guardava orgogliosa ed estatica dai piedi del palco.

Compagne, compagni, lavoratori e lavoratrici di queste terre, grazie! Grazie di aver avuto il coraggio di unirvi a noi oggi, grazie di averci creduto e di credere ancora che con il nostro impegno e la nostra unità sia possibile realizzare ed ottenere un destino migliore. Non spenderò troppe parole, ne ho già spese tante in questi mesi e desidero lasciare spazio ad altri interventi. Quel che mi limito a dire è questo: la giornata di oggi segna uno spartiacque importante. Se fino a ieri i lavoratori e gli altri cittadini erano divisi, oggi siamo uniti. Se fino a ieri a battersi per il proprio salario e le proprie condizioni di lavoro erano soltanto i diretti interessati, oggi uno spirito comunitario attraversa questa piazza e queste strade. Perché chi per guadagnarsi da vivere ha la necessità di lavorare è accomunato da uno stesso destino. Siamo tutti uniti, sempre, legati profondamente da un filo rosso. E dove cade uno o una categoria, cadremo a catena tutte e tutti. Non si può voltare la testa altrove, fingere che il problema non ci riguardi, preoccuparci soltanto di perseguire il nostro successo personale calpestando gli altri. Abbiamo dimostrato anche in questo territorio che non è soltanto il padronato in grado di unirsi per tutelare i propri comuni interessi. Anche i lavoratori e le lavoratrici lo possono fare! Non molleremo di un centimetro!

boato di approvazione

Non cederemo alle lusinghe e alle offerte fatte solo per spaccare il movimento!

altro boato, più forte e prolungato

Non metteremo da parte la nostra dignità per una vita tranquilla, una vita vigliacca!

il grido della folla sembrò arrivare fino in cielo

Insieme! Per la giustizia e la dignità di tutte e tutti, noi combattiamo!

la platea sembrò esplodere.

Bandiere cominciarono a sventolare, canti si alzarono da ogni dove, un’intensa energia attraversava quel mare di persone.

Nel frattempo, il sindaco, indossando la sua fascia tricolore, aveva chiesto di poter parlare alla folla.

Permesso accordato.

Salì sul palco, accompagnato da alcuni collaboratori.

Inizialmente fu coperto di fischi da molti dei presenti.

Poi un compagno operaio li zittì e chiese rispetto per il prossimo relatore.

Il nostro sindacalista, intanto, si trovava sul fondo del palco, in disparte, ad osservare la scena.

Care concittadine e cari concittadini, ho chiesto cordialmente agli organizzatori della mobilitazione di oggi di poter intervenire, assumendomi tutti i rischi del caso, perché ritengo necessario per il bene di tutti fare chiarezza. Questa amministrazione non è sorda alle vostre richieste e al malessere popolare che si è diffuso. Siamo sempre stati in prima fila per cercare di risolvere, nella conciliazione degli interessi in gioco, ogni problema che si sia mai presentato. Ma io vi domando, ora: cosa pensate che porterà tutto questo? Quali conseguenze pensate che possa avere? Io non potrò certo ignorare la partecipazione di oggi e mi dovrò spendere in quanto vostro rappresentante eletto e scelto democraticamente

e qui si girò verso il nostro sindacalista, in palese provocazione

per la vostra causa, non fosse altro per lo stipendio che mi è corrisposto alla luce del ruolo che interpreto. Ma a voi, concretamente, cosa resterà? Pensate che non ci siano altri territori in cui poter spostare le produzioni? Pensate che gli imprenditori che hanno fatto la ricchezza di questo territorio saranno disposti a sopportare queste intemperanze e pretese un po’ immature, se vogliamo? Pensate che altri che vengono da fuori sceglieranno di investire il loro denaro qui o invece non cercheranno ambienti più “accoglienti” per le loro iniziative economiche? La mia personale opinione, e vado a concludere, è la seguente: se fino ad ora in queste province e città si è potuto lavorare è perché gente come me si è spesa per trovare sempre un punto di equilibrio, mentre certi sobillatori, come il nostro qui presente amico sindacalista, venuti da chissà dove e mandati da chissà chi, non fanno che agitare le acque e rischiare di disperdere tutto. Ma vi siete domandati perché costui agisce così?

alcuni fischi dalla platea, qualche insulto rivolto al sindacalista

Costui si sta costruendo una carriera sulla vostra pelle! Ha istigato l’animo di uomini per bene, come il nostro amato concittadino Salvatore, che è giunto a togliersi la vita, incapace di sostenere sulle sue fragili spalle il peso di quella responsabilità di fronte ai compagni operai ed alla sua famiglia

mugugni e fischi dalla folla, sparsi qua e là

E vedete a chi si accompagna? A questa donna di fronte a me in prima fila, che ha commesso un omicidio e che oggi viola la legge presentandosi qui, in questa piazza, con voi, facendosi scudo con la vostra presenza! Ma noi, cara signora e caro signore, vi vediamo, abbiamo esperienza e abbiamo capito il vostro gioco!

un coro di fischi e insulti si leva contro entrambi, la massa comincia ad essere confusa.

Si era creata una tensione, mentre il direttore della miniera se la rideva sotto i baffi.

Come sospettava, la folla è facile ad infiammarsi tanto quanto è facile da irretire e rivoltare contro il proprio idolo, se soggetta al giusto oratore e ad un’efficace retorica.

Ci furono zuffe tra la gente, alcuni sgherri del direttore furono identificati e cacciati dalla manifestazione.

Ma quell’intervento rimase, nella testa e nella mente di molti.

Il dubbio si era insinuato in loro.

Da quel giorno in poi, le lotte proseguirono, ma questa frattura si percepiva.

In altre occasioni furono fatte queste critiche al nostro sindacalista, la sua compagna pagò un prezzo ancora più alto, poiché dovette nuovamente rinunciare, per un periodo, alla sua parziale libertà.

E tutt’oggi proseguono, sottotraccia.

Il veleno della maldicenza aveva infettato molti di noi.

Epilogo

Vi ho dunque raccontato la vicenda del sindacalista che fu scalzo, poi rimise le scarpe e tornò a camminare.

Che smosse le acque e ci travolse tutti con la sua passione.

Che accese le menti e i cuori. Che fu criticato e fu coperto di maldicenze dai suoi nemici.

Ora sta a voi decidere da che parte stare: questa storia non è finita e non lo sarà mai.

Se pensate sia meglio stare dalla parte del quieto vivere, allora potete star certi che troverete un sindaco o un politicante qualunque che vi accarezzerà docilmente.

Se invece credete che il vostro senso di giustizia valga la pena di un sacrificio, piccolo o grande che sia, allora la via del sindacalista è quella giusta per voi.

Nessuno vi giudicherà, nessuno vi dirà che fate bene o male: l’unica persona a cui dovrete sempre rispondere è quella che vi osserva dallo specchio ogni giorno.

Siete voi stessi.

E questo vale per ciascuno di noi.

Francesco Ciancimino

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