Chiamiamo T. mamma.

 V. lo chiamiamo per nome.

Sono certa che a V. farebbe molto piacere se lo chiamassimo papà, ma c’è una certa distanza che ancora non si colma.

La psicologa dell’istituto ci preparò all’incontro con loro, dicendoci che c’erano delle persone alle quali avrebbe fatto molto piacere conoscerci e che se le cose fossero andate per il verso giusto avremmo avuto una nuova casa.

Non so se mia sorella se la ricorda ancora, ma io, casa mia la ricordo.

La cucina, il bagno e le due piccole stanze.

Ricordo i giocattoli e le urla di mia madre ed anche quelle di mio padre.

Ricordo i loro volti ed anche i nomi.

Ricordo anche il giorno che da quelle due stanze ci son venute a prendere per portarci in una nuova casa chiamata istituto.

Non ho mai voluto farmi domande sulle circostanze che ci han condotte in questa situazione, ma le domande in un certo qual modo annullano la mia volontà, eludendo e contrastando qualunque sforzo io faccia.

Esigono risposte.

So che arriverà il giorno in cui almeno dovrò inventarne una plausibile.

Per ora chiamo T. mamma e V. lo chiamo per nome.

Giancarlo Pansini


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